Descrizione

Approcciare alle modalità espressive di Massimo Agostini ha il significato di un viaggio nel mondo delle emozioni, dove il senso delle cose abbandonate, rifiutate, inutilizzate si trasforma in un flusso di sensazioni visive, tattili, in grado di condurre lo stupito osservatore in una reverie mai sopita, solo rimossa dagli strati inutili della civiltà dei consumi.
Massimo Agostini nasce a Parma nel maggio 1965, completamente autodidatta, si avvicina alla pittura in una fase adulta della sua vita e in un momento di grande apprensione e tensione emotiva dovuta alla grave malattia del padre. Riportiamo le sue parole, in un racconto che ci conduce per mano attraverso il travaglio personale e nella sofferenza intima che ha sortito il suo bisogno espressivo: “non ho mai avuto un interesse per l’arte. Tutto è iniziato nel febbraio del 2002 quando trovai in una discarica una tavola di legno e delle confezioni di colori a tempera. Iniziai a gettare i colori sulla tavola quasi per gioco, e quando finii il gioco quello che si era creato mi sembrerà interessante. Successivamente, utilizzando delle vernici sintetiche recuperate in un cumulo di rifiuti urbani, sperimentai la combustione ed i risultati ottenuti dalla forza primordiale ed incontrollata del fuoco mi sembrarono stupefacenti. La terribile notizia dell’incurabile malattia di mio padre mi spinse a dipingere per sfogare la tensione nervosa. Dipingere per distrarmi, per rifugiarmi in un mondo magico che potevo plasmare a mio piacimento, lontano dalla ineluttabilità delle cose terrene, dalla inevitabilità del destino umano, dal senso di spreco che ci assale quando sai di dover salutare per l’ultima volta una persona fondamentale per la tua vita. Con la morte di mio padre continuai a creare utilizzando ancora di più i materiali di recupero, e aggiungendo vecchi legni per realizzare cornici/contenitori delle opere”.

Stupisce l’approdo quasi casuale alla pittura, la sua funzione terapeutica e lenitiva, il suo sostegno psicologico nel mare dei sentimenti e delle passioni. 
È questo che si avverte, guardando, toccando, odorando le opere di Massimo Agostini: un approdo sicuro nel processo di erosione del tempo, un supporto stabile è fatto di ferro di legno di stoffa di spaghi di fiamma di colore colato, in grado di rendere stabile l’instabile, recuperabile il dimenticato, bello lo scarto.

In questi anni ha partecipato a numerose collettive e realizzato diverse personali, raccogliendo consensi unanimi sia dalla critica che dai collezionisti d’arte.

Agostini ama esporre in luoghi inusuali, nei vecchi manieri, nelle piazze, fuori comunque dai contesti classici dove le sue opere subiscono una sorta di banalizzazione. La personale nelle sale del Castello di Varano de’ Melegari (PR) è rimasta negli occhi e nei cuori di molti.

Agostini vive e lavora a Collecchio, in Via Vittorio Veneto, 40; il suo studio è aperto a visitatori occasionali, curiosi, collezionisti di modernariato ed esperti d’arte. Vi accoglierà con un pennello/martello/giravite/seghetto/spatola/scalpello in una mano, e con il cuore nell’altra.

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